24 marzo 2015

 

In queste mie note, desidero dedicare alcune riflessioni alla categoria dei sottufficiali. I loro appartenenti hanno accompagnato la mia vita militare per quarant’anni e, alcuni hanno continuato ad essermi vicini anche durante i venti di vita politica e, in qualche modo lo sono tutt’ora. Al di là delle mie, seppur ampie esperienze personali, mi riferisco ai sottufficiali di tutte le Forze Armate ed ai parigrado delle Forze dell’Ordine, senza alcuna distinzione.

Al momento del mio arrivo al 1° Rgt: Bersaglieri ebbi il primo impatto con queste figure di professionisti del mestiere e dell’esperienza. La guerra era terminata da qualche anno e la stragrande maggioranza di loro l’aveva combattuta. Si trattava quindi di persone esperte, professionalmente arricchite da esperienze assai dure e pericolose. Salvo casi eccezionali, tale tipo di esperienze nel proprio lavoro, aumenta nell’individuo il buon senso e la stabilità mentale e caratteriale. Tali erano le caratteristiche degli anziani (si fa per dire, dal momento che Bersaglieri anziani non ve ne sono mai), sottufficiali che incontrai giungendo al 1° Bersaglieri. Trascorsi molte ore con diversi di loro, facendomi raccontare gli episodi più interessanti vissuti sui diversi fronti, da quello greco/albanese, a quello africano, a quello russo. Devo anche dire che, rispetto a quelle esperienze, mi sentivo non poco imbarazzato. Avevo un grado superiore al loro, raggiunto attraverso s1, un serio e spesso duro iter di preparazione, ma esclusivamente teorico e privo del bagaglio di quelle esperienze professionali  che loro possedevano. Per questo, sin dal primo momento, usai nei loro confronti il dovuto rispetto.

Non a torto, si è sempre detto che la categoria dei sottufficiali, rappresenta la spina dorsale della struttura delle Forze Armate. Nelle loro mani e sotto la loro diretta responsabilità si svolge tutta la vita dei reparti, in pace e in guerra. Sono loro il fondamentale, insostituibile raccordo tra i comandanti e i soldati. All’entrata dei Military Posts, le sedi dei reparti militari americani, di fronte al corpo di guardia all’ingresso, vi è sempre un grande tabellone sul quale sono scritti due nomi: quello del comandante del reparto e, subito sotto, quello del Sargent major, del n° 1 dei sottufficiali.

La conferma della validità professionale e dell’importanza del ruolo svolto dai sottufficiali nell’ambito dell’organizzazione militare, è dimostrata dal  fatto che la stragrande maggioranza di loro, quando raggiunge i limiti di età e deve lasciare il servizio attivo, per andare in pensione, vive quel momento con grande tristezza e. Se potessero, farebbero carte false pur di rimanere in attività ancora qualche anno. Che differenza tra questa realtà e quella della maggioranza dei lavoratori al loro livello, i quali non vedono l’ora di andare felicemente in pensione! L’attaccamento al servizio e la soddisfazione e fierezza per l’incarico e il compito svolti, determina un senso di affezione che lega il sottufficiale all’istituzione. Se rivado indietro con la mente, a partire dai sottufficiali, vecchi leoni del 1° bersaglieri a quelli di tutti gli altri reparti o comandi della mia vita, mi balzano agli occhi i volti tristi di tantissimi uomini in divisa, già calvi o con i capelli grigi, ma ancora validi, efficienti  e fieri del loro lavoro, sofferenti e dispiaciuti di dover lasciare il servizio. Quando poi ci si rincontra, in occasione dei vari raduni, immediatamente si viene travolti da un flusso di sentimenti e di ricordi che arrecano grande gioia e, a volte, anche un fili di legittima commozione.

Al 1° Reggimento, alcuni erano diventati sottufficiali da semplici soldati, per merito di guerra, dopo aver compiuto grandi atti di valore. Spesso la loro cultura era assai modesta, ma questo era compensato da un carattere forte e da un’assoluta dedizione al ser vizio. A proposito di livello culturale, mentre oggi, pressocchè tutti i sottufficiali sono diplomati o laureati, allora la loro provenienza era quasi sempre, dalle classi più povere e meno colte della società nazionale. Tuttavia molti di loro, specie col progredire del tempo, attraverso notevoli sacrifici, hanno saputo superare il gap di partenza e sono riusciti a passare nella categoria ufficiali e raggiungere gradi di tutto rispetto. Alcuni giovani sergenti dei tempi del 1° Rgt, o sottufficiali meccanici del Centro aviazione dell’esercito di cinquant’anni fa, intelligentissimi e assai  ben preparati, sono diventati, con grande merito, colonnelli o, addirittura generali. Lo stesso è valso, nel tempo, per i sottufficiali delle altre Forze Armate e dell’Ordine.

Un altro aspetto assai positivo che merita una citazione, è rappresentato dalla generalizzata “solidità” delle famiglie dei Sottufficiali. Tale solidità conferisce tranquillità e sicurezza al padre di famiglia e una ottima educazione  ai figli. Questo vale anche per la stragrande maggioranza delle famiglie degli Ufficiali.  Le nuove generazioni ripagano tale dedizione dei genitori, raggiungendo, nella vita, posizioni di alto prestigio. Tante volte nella mia vita ho sentito esclamare con orgoglio,, da dirigenti di primo piano civili e militari, “Mio padre era un maresciallo de…….!”.

Agli anziani del 1° Bersaglieri, all’epoca del mio arrivo, si sono via via accompagnati e poi sostituite le nuove generazioni. A tal proposito mi piace ricordare quel che era, sistematicamente oggetto dei commenti degli anziani, nei confronti dei nuovi giunti, poco tempo dopo il loro arrivo al reparto, dalle scuole di formazione. “Sor Tenè”, mi dicevano, “questi giovani nun sanno un c…… e nun valgono un c….., ma che je insegnino a ste “scuole di formazione”, poveri berzaglieri! Dove annamo a fin1?! ” Abbiate pazienza” rispondevo io, “grazie al vostro esempio, si faranno! Questo è vostro compito, alla scuola non si può insegnare la pratica, per questo ci siete voi!”,  Dopo i mugugni, erano poi, molto bravi. Prendevano i “nuovi” sotto la loro ala protettrice, li educavano, li proteggevano e li sgridavano, come fossero loro figli. Quella dei sottufficiali, nei reparti dove ho vissuto, è sempre stata una grande, bella famiglia. Naturalmente, vent’anni dopo mentre comandavo lo stesso 1° Bersaglieri, coloro che erano stati, al loro arrivo, oggetto dei commenti prima riportati, diventati marescialli, all’arrivo dei nuovi giovani sottufficiali, mi dicevano: “Comandante, questi giovani…….. “ e via, le stesse espressioni che avevano accompagnato il loro arrivo!. Magari con accenti un poco meno dialettali.

Una dote che riscontrai nei sottufficiali del 1°, nel dopoguerra, era quella di saper giudicare il valore intrinseco e la capacità e idoneità al comando degli ufficiali, in particolare dei giovani. Forti della loro esperienza e del loro acquisito prestigio, si ponevano  nella posizione psicologica di giudice e “rispettavano” quale comandante, solo quelli che, secondo loro, ne avevano gli…..”attributi”. Per tutti i miei tanti passaggi da un comando ad un altro, da un reparto ad un altro, ho sempre sentito il peso e l’importanza di tale giudizio.

Si deve tener conto che, mentre gli ufficiali spesso cambiano incarico e reparto, i sottufficiali lo fanno molto meno e finiscono per rimanere a lungo o, definitivamente, nella stessa sede. Ne costituiscono pertanto, la memoria storica e caratterizzano l’atmosfera dell’ambiente. All’inizio, anche per me non fu facile farmi accettare come comandante, in un’esercitazione a fuoco, da chi, al fuoco c’era stato in guerra, col nemico che sparava davvero! Per fortuna, fui subito promosso!

Nel corso della vita ho cambiato tanti incarichi e comandi e sempre ho potuto avvalermi del prezioso  aiuto dei vari sottufficiali. Oltre i “maestri” di quando ero Tenente e Capitano al 1° Bersaglieri, ricordo i paracadutisti Iubini e Vana, i meccanici del Caale, Cecchi, Sasdelli, Frare, Sibi, Cerolini e gli altri, più di duecento che ebbi la ventura di comandare nel Reparto aereo, quelli dell’undicesimo battaglione di Sacile, bravissimi nelle esercitazioni a fuoco a Capo Teulada. I sottufficiali della Scuola di Guerra, del Comando del V° C: A. a Vittorio Veneto e ancora quelli del 1° a Civitavecchia. A Washington, quelli dell’ambasciata, quelli della Brigata Garibaldi, a Pordenone, quelli del Comando Sardegna, quelli del Segretariato Generale e dello Stato Maggiore della Difesa, i brillanti e, professionalmente preparatissimi sottufficiali della Guardia di Finanza e, infine quelli inimitabili per coraggio e dedizione, dei Servizi. Mutuando una espressione, dal titolo di un vecchio film americano sull’Accademia di West Point, tutti, mi hanno accompagnato ed aiutato: “in una lunga linea di uomini con le stellette” che si è snodata durante il percorso della mia vita militare.

Vi è un episodio che credo materialmente e figurativamente offra un’idea dell’apporto da me ricevuto da parte dei tanti sottufficiali collaboratori e che penso adatto a concludere questa mia testimonianza di ricordo e gratitudine Un episodio che, altre volte ho narrato, ma che qui, ricordandolo, può costituire una buona conclusione dell’argomento. Da Alfiere del 1° Bersaglieri, montai molte volte, con la guardia al Quirinale. Una volta, in inverno, montammo indossando naturalmente il cappotto, in un giorno di pioggia e di temperatura molto rigida. Portando di corsa la bandiera dalla caserma Macao, feci un grande sforzo e, giunto all’interno del Quirinale, mentre, fermo, sull’attenti, con la bandiera al fianco, aspettavo, da una ventina di minuti, che si concludesse il cambio delle sentinelle, ebbi un leggero malore e fui percorso da un forte brivido, mentre le gambe cominciarono a tremare. A quel punto i due sottufficiali di scorta schierati dietro di me, mi sorressero sostenendomi al cinturone, sinchè non ricevetti il cambio da un collega. Ecco, questa immagine del sostegno da parte dei sottufficiali, in un momento di mia difficoltà, si è ripetuta in tanti momenti di bisogno, della mia vita di comandante, anche quando non “mi tremavano le gambe”.  In modo figurativo, anche se non estremamente brillante,simboleggia il nostro rapporto.

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