19 luglio 2016
Il risultato del referendum inglese, con la vittoria del LEAVE, ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Gli inglesi non sono nuovi ad atteggiamenti del genere sul piano politico. Già nel 1960 non vollero aderire alla Comunità Europea e furono gli artefici di un diverso agglomerato politico l’EFTA, meno vincolante economicamente e politicamente. Anche allora si sbagliarono e, nel 1972, ne uscirono ed aderirono alla Unione Europea. Anche il fatto della mancata adesione all’euro è la dimostrazione di questo permanente atteggiamento inglese di scarsa disponibilità all’integrazione politica, sola strada per continuare a “contare” nel mondo, da parte dei cittadini dei singoli stati europei.
Senza entrare nel merito delle conseguenze di dettaglio, in una visione politica di confrontazione e di bilanciamento internazionale, sul piano globale, la scelta inglese costituisce indubbiamente un indebolimento dell’U.E. nei confronti dei grandi blocchi mondiali. Al di là del suo precario funzionamento, oggi, l’U.E. conta meno, sia sul piano economico, sia su quello politico. L’insoddisfacente funzionamento della struttura europea, deve indurre al miglioramento, non all’abbandono. Questo, naturalmente, da parte di chi crede nell’Europa, da parte di chi ha una visione politica corretta del futuro in campo internazionale. Desideri di autonomia o vecchie nostalgie di glorie passate, unite a visioni egoistiche, sono fuori luogo e sono state, sino ad oggi, la vera causa dello scarso funzionamento dell’U.E., di cui oggi tutti, ipocritamente, si lamentano.
In un caso come quello di cui stiamo parlando, è difficile se non incauto e inopportuno formulare previsioni, ma qualche constatazione può già essere fatta. Mentre per chi è rimasto nell’U.E., non ritengo possano derivare dal Brexit conseguenze molto gravi (delle borse parlerò dopo), per la Gran Bretagna, la situazione si fa certamente più difficile. Intanto, in prima derivata, risorge lo spinoso problema Scozia, al quale si aggiunge quello dell’Irlanda del Nord, decise ad uscire dal Regno che non sarà più Unito, per riaderire all’Europa. In secondo luogo, dal punto di vista economico, Londra perderà molte posizioni sia sul piano finanziario, sia su quello economico/commerciale, anche perché perderà la sua posizione di testa di ponte per la penetrazione USA, all’interno commerciale della Comunità, che, negli anni, ha portato alla immissione di grandi quantità di capitali americani in Inghilterra.
Per quanto ha tratto con la presenza di stranieri, si farà più difficile l’afflusso di nuovi entrati dalla U.E. mentre per coloro che già risiedono non vedo grosse complicazioni, anche perché con la loro presenza hanno portato un grosso aiuto allo sviluppo dell’economia e delle attività produttive inglesi.
Nei confronti delle immigrazioni selvagge da Africa e Medio Oriente, la stessa Inghilterra non potrà che continuare a condurre una politica di “non accoglienza”, come già autonomamente faceva, anche se inserita nella U.E., come d’altra parte fanno molti altri stati dell’Unione.
Per le borse ed il loro andamento, il discorso è del tutto particolare. Nel tempo la loro situazione è stata sempre più, condizionata dalla speculazione e dai rapporti di “proprietà e connessioni interborse”, che non, realmente, da accadimenti politici, (che spesso sono una scusa per speculare) e, men che meno, da reali situazioni di carattere economico, sia riferite all’andamento delle imprese, sia alle reali situazioni di scambio commerciale. Quando la Borsa cala si grida sempre allo scandalo, come nel caso attuale: ”Bruciati 600 miliardi!!”, quando la borsa cresce, allora nessuno grida: ”Creati XXX miliardi!”. Così oggi. Ma stiamo a vedere, certamente vi sarà un recupero. Il discorso del crollo ha riguardato soprattutto le banche. Non aveva detto Draghi che la Bce era pronta a fronteggiare ogni evenienza?
Per quanto ha tratto con il temuto, da qualche parte, effetto domino, fermo restando che ogni Stato fa storia a sé, penso che accadrà esattamente il contrario: la negativa esperienza inglese, indurrà chi aveva intenzioni di distacco, a riflettere bene. I quasi tre milioni di firme, raccolte in brevissimo tempo, a sostegno della richiesta di ripetizione del referendum, confermano la negatività dell’esperienza britannica.
Infine una considerazione generale ed un ammaestramento per il futuro. Tutto il mondo sta discutendo delle conseguenze portate da una decisione assunta da una limitatissima percentuale della popolazione mondiale. Ma ciò che è più singolare, è il fatto che sia coloro che hanno votato sì, che coloro che hanno votato no, in larghissima percentuale, non avevano alcuna seria idea delle reali conseguenze, derivanti dal tipo di scelta vincente. Sarà bene che, in qualche modo, si limiti il ricorso all’istituto del Referendum popolare, solo per questioni di carattere etico, morale, le quali trovano conoscenza e coscienza naturale, nelle menti di tutti coloro chiamati a decidere, mentre, per le questioni di carattere politico è bene fare ricorso alla democrazia della rappresentanza, affidando le decisioni a chi, eletto, ha la possibilità e il dovere di contribuire, a ragion veduta, alle decisioni che riguardano complessi problemi di carattere politico la cui decisione, non va lasciata nelle mani di chi non è preparato e in condizione, per fare una scelta responsabile.
On. Gen. Luigi Ramponi