9 dicembre 2016
In questi giorni diverse agenzie che si dedicano allo studio della situazione economica nazionale e della sua evoluzione, pubblicano i risultati delle loro ricerche, affermando che i dati riferiti alla situazione odierna, sono assai peggiori di quelli di dieci o di vent’anni fa’. Sia i dati sull’occupazione, sia quelli sulla disponibilità finanziaria della famiglia media o dei giovani che, terminata la scuola, tentano di inserirsi nel mondo del lavoro, risultano essere parecchio peggiori di quelli di un tempo passato.
Io ho tutto il dovuto rispetto nei confronti dei risultati di tali ricerche e delle conseguenti affermazioni delle varie agenzie, anche se mi pare che, individuato un argomento, su quello si concentri l’attenzione dei vari istituti, con la diffusione di notizie più o meno shoccanti, non volendo, nessuno rimanere indietro; tuttavia non posso non ricordare che venti anni fa e per diversi anni a seguire, era molto diffuso in sede soprattutto politica, ma, confermato dai vari istituti di ricerca, lo slogan:” Non si arriva alla fine del mese!”, che certamente tutti ricordano. Cosi come certamente tutti ricordano che finito l’effetto della “fine del mese”, si passò, allora, a quello del: ” Non si arriva alla fine della terza settimana!”. Lo slogan era anche allora, confortato dai risultati della ricerca d’illustri istituti, come accade oggi. Poi, visto che, in realtà, le due erano affermazioni bugiarde, salvo che per un’assai limitata fascia di cittadini sfortunati, i quali tuttavia, seppur con fatica e sofferenza, grazie alle molteplici iniziative assistenziali, sono sempre riusciti ad “arrivare alla fine del mese”, lo slogan perse il suo effetto e oggi non è più di moda. Tutto ciò, appare strano, dal momento che i vari istituti testimoniano che oggi la società italiana sta assai peggio di dieci, venti anni fa, quando, appunto si dichiarava di “ Non arrivare alla fine della terza settimana”.
Certamente, al momento l’Italia vive un periodo di difficoltà, soprattutto, se non esclusivamente, riferito alla disoccupazione giovanile e alla autentica difficoltà per le nuove generazioni di inserirsi serenamente nel mondo del lavoro.
I vari Governi che si stanno alternando negli ultimi anni, anche perché gravati dal pesantissimo debito e dall’enorme evasione, non sono riusciti a determinare un’autentica inversione di tendenza, al di la delle trionfalistiche affermazioni regolarmente ricorrenti.
In un paese di sessanta milioni di abitanti, che ha un budget annuale di ben ottocento miliardi di euro, si può trovare lo spazio, rimanendo rispettosi dei vincoli europei, per reperire le risorse necessarie ad avviare una serie di lavori pubblici, peraltro tanto necessari. Basta pensare ai rischi idrogeologici o a quelli sismici, utili per creare occasioni di lavoro per i giovani disoccupati e rimettere in moto l’economia. Come reperire tali risorse in un periodo di autentica difficoltà? Smettendola di distribuire demagogicamente risorse a chi già vive decorosamente, (vedi gli ottanta euro), smettendola di chiudere i nuovi contratti di lavoro con aumenti di salario a chi già ha un salario che, comunque, gli consente di vivere decorosamente, come ha fatto in questi ultimi anni di mancato rinnovo, anche perché l’inflazione è pressocchè pari allo zero e la capacità d’acquisto rimane costante.
Avviare con le risorse reperite che saranno cospicue, un ampio programma di lavori pubblici nei settori idrogeologico, antisismico, delle comunicazioni ecc., vuol dire da una parte affrontare i veri problemi del paese e dall’altra sbloccare la situazione della disoccupazione. Bisogna solo avere un poco di coraggio, ignorando le pretese di chi già vive decentemente, risolvendo, nel contempo, i problemi di chi vive malamente, non per propria colpa. Questa è la vera funzione di chi governa, anche se i disoccupati sono in numero inferiore a quello degli occupati e, in conseguenza si può rischiare di perdere voti. O si Governa per il bene della società nel suo complesso o si è dei quaquaraquà.
Oltre agli annunci di situazione più grave di quanto fosse nel passato, cui ho fatto cenno ed ho commentato all’inizio, sempre l’ISTAT, ha, recentissimamente, diffuso un’altra notizia che aggiunge benzina al fuoco della preoccupazione sociale e determina inopportuni stati di ansia e di tensione nei cittadini. La notizia riguarda il “rischio di povertà”. L’annuncio recita: “ Più di un italiano su quattro è a rischio di povertà”, per una percentuale pari al 28,7% dell’intera popolazione. Ma che vuol dire “rischio di povertà”? Vuol dire che non è povero, ma che potrebbe diventarlo? Ma allora si può annunciare che il 100 % degli italiani è a “rischio morte”! E’ vivo ma può morire. Sarebbe meglio che gli annunci fossero riferiti a situazioni davvero gravi, senza delineare eventuali ipotesi disastrose, alfine di impressionare l’opinione pubblica ed attrarre, in tal modo l’attenzione. Un tal modo d’agire è poco responsabile.
On. Gen. Luigi Ramponi