di Pietro Fiocchi
“Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, si legge in 1984 di George Orwell. Con un occhio all’avvenire, si potrebbe dire che sarà signore del mondo chi avrà una posizione di egemonia nello spazio, ultima e decisiva frontiera.
La Russia sembrerebbe ben determinata: le truppe spaziali del Cremlino dall’inizio del 2010 hanno lanciato in orbita 14 satelliti, di cui 3 per conto del ministero della Difesa, gli altri in funzione di programmi di cooperazione internazionale e per avanzare i lavori del sistema Glonass (Global Navigation Satellite System), ormai quasi al completo. Messo in attività nel 1993, Glonass è la versione russa del nordamericano Gps. Serve dunque alla navigazione di veicoli terrestri, marittimi e aerei oppure alla loro localizzazione, a definirne la velocità, con un margine d’errore minimo. La costellazione di Mosca è composta di 23 satelliti, di cui 21 sono già operativi. Con 24 si copre l’intero pianeta. Il traguardo non dovrebbe essere lontano: il vice premier russo Sergej Ivanov ha assicurato che entro la fine dell’anno la missione sarà compiuta.
Lo stesso Ivanov ha fatto inoltre sapere che la Russia, progressivamente, spenderà più soldi per lo spazio. Attualmente il budget annuale è a 2,7 miliardi di dollari. Per impegno finanziario il Paese si classifica al quarto posto, dopo gli Stati Uniti (18,8 miliardi), l’Agenzia spaziale europea (5,3 miliardi) e la Cina (3,1 miliardi).
Conti a parte, intorno a Glonass orbitano una serie di Stati attirati dalla valenza strategica ma anche dalle opportunità commerciali che il sistema russo sembra offrire. Già lo scorso febbraio, il governo di Mosca aveva accennato alla partecipazione nel progetto di Kazakhstan e India, con i quali sarebbero stati conclusi accordi per impiantare Glonass, entro un paio di anni, sui loro territori.
Qualche settimana dopo, a marzo, il primo ministro Vladimir Putin è proprio in India, per celebrare le virtù dell’orgoglio di casa Russia con i colleghi di Nuova Delhi. Le amministrazioni civili del subcontinente sarebbero le prime a trarre vantaggi dal sistema di navigazione, risparmierebbero cifre importanti. La visita di Putin ha in ogni caso avuto i suoi risultati: Russia e India hanno sottoscritto due accordi: uno prevede la commercializzazione del sistema (produzione delle attrezzature per il suo utilizzo), l’altro l’uso militare del segnale Glonass. Quest’ultima sarebbe una cooperazione privilegiata e unica nel suo genere, visto che per ora non ci sono intese simili con altri Paesi.
Mosca e Nuova Delhi hanno intenzioni serie, che si spingono oltre la passione per i satelliti artificiali. Lo studio della luna è tra le priorità delle loro ambizioni spaziali. Un progetto bilaterale risalente al 2007 prevede la messa in orbita e l’allunaggio di un laboratorio scientifico. La prima tappa sarà però la creazione di una sonda che verrà lanciata nel 2012 per studiare il sottosuolo lunare e analizzarne l’attività sismica. Il passo successivo dovrebbe essere la raccolta di frammenti del suolo lunare. Se i vari passaggi avranno successo, si pensa di installare sul posto una base per approfondire le ricerche. Viste le ottime motivazioni, chissà che non riescano prima o poi ad imitare le prodezze narrate da H. G. Wells nel suo romanzo di fantascienza, I primi uomini sulla luna.
Torniamo a Glonass. Quest’inverno, per aumentare la precisione del sistema di navigazione, è stata montata un’antenna nell’avamposto russo in Antartico, la stazione di Novolazarevskaja. Nel frattempo i candidati si mettono in fila per condividere fatiche e successi dell’opera russa.
L’Ucraina vuole partecipare attivamente, il presidente Viktor Janukovich è da qualche mese che ne parla. Fino alle elezioni di gennaio sarebbe stato impensabile. L’ex repubblica sovietica, con il nuovo leader, è tornata ad avere un dialogo con Mosca, a condividerne i punti di vista e gli obiettivi, fatta eccezione per l’adesione nell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, che a qualcuno piace chiamare la “Nato russa”. Del resto Janukovich su questo è sempre stato chiaro: né con un blocco né con l’altro. Che nessuno si offenda. Restano comunque pragmatici i rapporti tra Mosca e Kiev, che presto potrebbero fondare una joint venture per la produzione e la vendita all’estero di kit Glonass.
Il Brasile non si tira indietro, del resto ormai sulla scena internazionale la sua è una presenza notevole, sia per il ruolo da protagonista nel Bric (il G4 delle economie emergenti), sia per l’accordo sullo scambio di combustibile nucleare concluso con Turchia e Iran. Brasilia vuole entrare nel club, in particolare le interesserebbe costruire un satellite russo-brasiliano. Di questo e altri progetti hanno parlato il premier Putin e il presidente Luiz Inácio Lula da Silva nel loro recente incontro a Mosca.
A questo punto ci manca solo la Cina. Pechino ha il proprio sistema di navigazione: Beidou, tradotto significa l’Orsa maggiore. Ufficialmente in cantiere dal 1993, il progetto ha visto risultati concreti nel 2000, quando sono stati lanciati nello spazio i primi due satelliti. Un terzo si è aggiunto nel 2003, garantendo così la copertura del territorio nazionale. Poi nel 2007 è stato il turno del primo satellite di Beidou 2 (lo scorso giugno ne è stato lanciato il quarto), quello che sarà entro il 2020, articolato in 35 satelliti, l’equivalente del nordamericano Gps e del russo Glonass. Magari con qualche optional in più ad un costo inferiore. Anche in questo caso il prodotto della Repubblica popolare, sebbene si tratti di alta tecnologia, saprà essere competitivo sul mercato mondiale. Gli utenti potrebbero prima o poi preferirlo agli altri sistemi, allo stesso Gps o all’europeo Galileo, che pare stenti a decollare. Beidou è nato come sistema ad uso militare interno. Nel 2008 Pechino ha fatto sapere che la sua costellazione intendeva offrire ai cinesi servizi gratuiti, per gli altri Paesi sarebbero stati sufficienti accordi intergovernativi.
In alcuni casi capita anche che si decida di unire le forze per un comune obiettivo strategico. Dallo scorso autunno Russia e Cina sono al lavoro per realizzare un sistema satellitare ad uso e consumo dei Paesi membri dell’Organizzazione di Shangai per la cooperazione: la Federazione e la Repubblica popolare, indiscusse protagoniste di questa notevole realtà geopolitica, Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tajikistan. Poi ci sono gli osservatori: Iran, Pakistan, India e Mongolia. Islamabad e Nuova Delhi sono in attesa di ricevere la promozione a membri, gratifica che nei salotti dell’Organizzazione sarebbero disponibili a concedere, il segretario generale Muratbek Imanaliev prima di tutti. Teheran, che si era incamminata sulla stessa strada, dovrà aspettare un po’ di più: all’ultimo vertice del Gruppo (Tashkent 10 e 11 giugno) i soci hanno approvato un documento che sbarra l’accesso, in qualità di membri, a quei Paesi contro i quali sono state approvate sanzioni dell’Onu. Questo è proprio il caso della Repubblica islamica, che però potrà conservare il suo posto di osservatore.
Dinamiche che saranno più evidenti nei prossimi anni. L’Eurasia di Shangai potrebbe stupirci. Certo è che le potenzialità di una cooperazione mirata tra sistemi satellitari sono infinite, in ambito civile e militare, in tempo di pace o di guerra.