Non è occorso molto tempo per fare ritornare con i piedi per terra tutti coloro che hanno acclamato con entusiasmo l’atteggiamento diverso, più dialogante, nei confronti del terrorismo estremista islamico predicato dal neo Presidente Obama durante la campagna elettorale. Lo stesso Obama ha dovuto prendere atto che il dialogo con Al Queda è praticamente oggi impossibile, che con i terroristi si può e si deve trattare solo da posizioni di forza, che quando Osama bin Laden dichiara la guerra contro i crociati intende fare la guerra veramente, naturalmente con i mezzi di cui dispone e, in fondo, che il tanto criticato Bush ha risposto con energia all’aggressione ed è riuscito, come tutti solo oggi gli riconoscono, a tenere il territorio Usa fuori di altri attacchi terroristici.
Desidero qui soffermarmi su una delle decisioni che il neo Presidente USA, coerente con quanto dichiarato durante la campagna elettorale, assunse il primo giorno di presidenza, con l’ordine di chiudere Guantanamo entro l’inizio del 2010, decisione accolta dagli applausi dell’opinione pubblica internazionale e del suo partito.
Per fortuna tale decisione è stata stoppata in maggio nel Congresso, dallo stesso partito Democratico che ha negato i fondi per la sua attuazione. Successivamente lo stesso Presidente Obama ha dovuto smentire se stesso. Oggi poi, dopo essere chiaramente emerso che Sali Ali al Shihiri, ex detenuto a Guantanamo è il capo di Al Queda nello Yemen dove si è addestrato il mancato attentatore al volo per Amsterdam-Detroit, che molti altri prigionieri liberati hanno nuovamente raggiunto il jiad e, infine che è apparso chiaramente impossibile processare i prigionieri di Guantanamo con le regole del processo ordinario, la chiusura del campo di prigionia appare assai lontana.
La destinazione del carcere militare di Guantanamo a campo di prigionia, fu decisa tra il 2002 ed il 2003 dall’amministrazione Bush, per rinchiudervi i terroristi catturati. Presto, nei confronti della struttura si diffuse in modo sempre più ampio, contrarietà ed insofferenza, alimentate da un’intensa propaganda di ispirazione pacifista e antiamericana. La stessa opinione pubblica Usa e conseguentemente lo stesso Governo ne furono influenzati e Guantanamo finì per essere considerata una vergogna da eliminare. Nell’affrontare il dilemma Gantanamo si, Guantanamo no, non si è tenuto e non si tiene conto del fatto fondamentale che è in atto uno stato di guerra tra gli estremisti islamici (che lo hanno dichiarato e lo attuano) e l’Occidente e conseguentemente i prigionieri catturati vanno rinchiusi in campi di prigionia, per tutta la durata del conflitto, come accade ed è accaduto in ogni guerra. Pensare di processarli con rito civile o di far firmare loro, come accaduto, un impegno solenne a non partecipare più ad attività terroristiche e poi liberarli, appare rispettivamente non fattibile e perlomeno ingenuo. Del pari è altrettanto inaccettabile riservare loro, come purtroppo è accaduto, trattamenti simili alla tortura. I catturati vanno trattati come prigionieri di guerra, di una guerra che ha regole particolari, diverse dalle precedenti, una guerra che noi non vogliamo, ma di cui non possiamo negare l’esistenza.
Alla società occidentale, lontana dalle aree di crisi, basta un breve periodo senza attentati in casa, per dimenticare la guerra in atto portata da Al Queda ed associati, allentare la vigilanza e il contrasto ed arrivare a liberare i terroristi. E’ un grosso errore di cui il terrorismo subito approfitta, come dimostrano i fatti recenti.