E’ tornata al narcotraffico Cosa Nostra, sfilacciata dalle indagini che “ne hanno messo in discussione la possibilità di costituirsi una propria ‘cupola’ e una propria ‘strategia profonda’ di medio-lungo periodo”. Fondamentalmente – spiega una fonte qualificata a WikiLao – “per fronteggiare le esigenze economiche dei suoi affiliati” e in particolare “per pagare le spese dei picciotti detenuti e per il sostentamento delle loro famiglie”.
I padrini siciliani – sebbene con minori ambizioni ‘sovversive’ di una volta – si sono rimessi a giocare a tutto campo. Sempre più spesso, ad esempio, si fanno garanti degli affari fra i cartelli sudamericani, la ‘ndrangheta e la camorra, facendo “ricoprire a loro uomini di punta il cruciale ruolo del broker”, “specie dopo l’arresto di personaggi come il calabrese Roberto Pannunzi”. In altri casi mantengono contatti con gli ‘ambasciatori’ in Italia delle organizzazioni colombiane e messicane e gruppi di albanesi (questi ultimi legati alle cosche trapanesi di Salemi).
Altri, poi, continuano a sfruttare canali sperimentati negli anni, come, ad esempio, quelli che vedono in una cellula mafiosa stanziata a Torino il punto di riferimento per i traffici con i narcos di Ecuador e Perù.
E poi c’è una tendenza che sta emergendo: “Cosa nostra – viene spiegato a WikiLao – ha cominciato a gestire in maniera diretta (anche se spesso ‘coperta’) intere piantagioni di canapa”, come si è evidenziato nell’area di San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo.
Questa nuova attività, “è molto lucrosa”, per il taglio di tutte quelle spese intermedie tipiche di quando si trattano altre sostanze. In più: “riduce i rischi legati al trasporto dello stupefacente straniero”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di droga e criminalità, l’UNDOC, l’Italia è il primo Paese al mondo per sequestri di canapa. Rispetto al 2010 c’è stato un incremento del 5700 per cento; in Sicilia il 91 per cento di tutto lo stupefacente sequestrato.
4 Aprile 2016